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Le donne islamiche tra tradizioni e modernità

Relazione di Maryan Ismail, sufi di origini somale , sulla condizione femminile nei Paesi islamici: «Nel Corano c’è parità tra uomo e donna. Il velo non è obbligatorio»

Il 27 marzo 2015 Yusuf Mohamed Salvatore Ismail fu ucciso a Mogadiscio durante un atto terroristico rivendicato dal gruppo jihadista Al Shaabab. Era un diplomatico delle Nazioni Unite ed era fratello maggiore di Maryan Ismail , antropologa, operatrice culturale diventata nota al grande pubblico perché era componente della segreteria metropolitana del Pd e ha sbattuto la porta in faccia al partito dopo la sua mancata elezione al consiglio comunale di Milano dove invece è entrata, al suo posto, Sumaya Abdel Qader, sociologa mussulmana ortodossa, responsabile culturale del CAIM.

LE SCUOLE CORANICHE

Maryan Ismail ha parlato della difficile condizione delle donne musulmane alla conviviale del Rotary Club Cremona Po, presieduto da Carmen Rauso, al ristorante La Sosta. Lo ha fatto partendo dalla spiegazione delle differenze esistenti tra le quattro scuole teologico giuridiche dell’Islam: Hanafita, Malikita, Shafi’ìta e Hanbalita. E ha subito chiarito un possibile equivoco lessicale che assume importanza rilevante ai fini della conoscenza del cosiddetto integralismo islamico: nell’ambito della religione musulmana, il riformismo propugna il ritorno alle origini, cioè al Profeta. I riformisti radicali affermano, tra l’altro, il predominio della donna sull’u omo.

IL WAHABISMO

In Arabia Saudita, i wahabiti vietano alle donne di lavorare e di guidare. Tutte portano lo hijab che è il velo tradizionale indossato dalle islamiche e che copre interamente il volto. «Non è il Corano a imporne l’uso – ha chiarito la relatrice -. Tutte le altre limitazioni dei diritti femminili in vigore nei Paesi che pretendono di applicare la legge coranica non trovano riscontro nel libro sacro dei musulmani. Coprire la testa non è un precetto, ma una scelta. Nella tradizione del mio Paese, la Somalia, si usano veli che a seconda della colorazione hanno diversi significati. L’imposizione dello jiahab appartiene alla cultura wahabita che dà dell’Islam la lettura integrale e non veritiera».

PARITÀ TRA UOMO E DONNA

In origine c’era parità tra gli uomini e le donne che non si limitavano a espletare funzioni domestiche ma che assumevano addirittura incarichi militari. Erano emancipate, come lo era Aisha, moglie di Maometto. Fu proprio il nuovo credo diffuso dal Profeta a vietare pratiche ancora in uso nel sesto secolo nella penisola arabica come l’infant icidio femminile e ad affermare i diritti delle donne.

IL MATRIMONIO

La relatrice ha evidenziato il fatto che il matrimonio nell’islam non sia un sacramento, ma un contratto che in origine metteva marito e moglie in condizioni di parità al punto che, al contrario di ciò che si crede comunemente, anche la donna può ripudiare il marito. «Maschi e femmine avevano e avrebbero anche oggi gli stessi diritti, che però la lettura patriarcale del Corano vieta» ha puntualizzato la relatrice che è musulmana sufi.

IL SUFISMO

Il sufismo è la forma di ricerca mistica tipica della cultura islamica. Oggi la donna nei Paesi musulmani è confinata in una posizione subalterna, nonostante il wahabismo sia largamente minoritario. La rigidità di questa scuola mette in ombra fenomeni rilevanti, come l’apertura alla modernità dei malichiti, oggi diffusi in tutto il Nordafrica e presenti anche in Sicilia ai tempi dell’espansione araba nel mediterraneo. «Ci sono tre scuole di femminismo nel mondo islamico: una riformista radicale, una radicale tradizionale e una liberale.- ha spiegatoMaryan Ismail —. E c’è una grande scuola di femminismo sciita».

LA SCUOLA RADICALE

Secondo la scuola radicale, uomo e donna sono uguali nello spirito, non nel ruolo sociale. «Questa scuola polarizza il mondo, è una goccia d’ol i o in un bicchiere d’acqua, teorizza l’apartheid femminile e l’obbligo di indossare lo hijab — ha spiegato l’ospite —. E’ l’uomo che comanda. La scuola liberale utilizza il diritto positivo e recepisce, tra l’altro, la Dichiarazione universale dell’uomo che l’Arabia Saudita non ha firmato». Perché il wahabismo, che rappresenta solo il 48 per cento dell’islam, è preminente sugli altri movimenti? «E’ s ostenuto finanziariamente dalla monarchia saudita e dai Paesi del Golfo. Si serve dei petrodollari per espandere la propria influenza — ha risposto la relatrice —. Islamizzare è prendere laboratori come la Somalia o l’Afghanistan e introdurre il wahabismo. Oggi nel mio Paese le donne non indossano più le tradizionali vesti multicolori simbolo della nostra cultura e della tradizione. Vestono una divisa che distrugge la specificità ». Al wahabismo si ispira anche l’isis, lo stato del terrore tristemente noto, sorto e sviluppatosi coll’appoggio saudita e con il silenzio compiacente degli Stati Uniti che avevano come obiettivo la destituzione del despota siriano Assad.

L’INFIBULAZIONE

Da qui alla legittimazione dell’infibulazione il passo è breve. La mutilazione dei genitali femminili è un rito di passaggio dall’adolescenza alla maturità sessuale. E’ una pratica terribile alla quale Maryan, grazie alla lungimiranza dei suoi genitori, è stata sottratta, ma alla quale ha assistito perché è un rito collettivo. Anche dell’infibulazione, come della circoncisione, non c’è traccia nel Corano. Nonostante la scuola riformista radicale abbia la forza e la capacità espansiva che le deriva dal denaro e faccia proseliti anche in Paesi che per un secolo hanno fatto della laicità una bandiera come la Turchia, Myrian Ismail confida nell’af – fermazione della scuola sufi e di un islam moderno e moderato.

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