Come è cambiata la fruizione dei servizi Progetti in corso e idee per il futuro.
Cautela e la volontà di non darsi per vinti: è questa consapevolezza che ha caratterizzato l’ultima conviviale, sotto la regia della presidenza Ida Beretta e con ospite il direttore generale dell’ASST, Giuseppe Rossi. La volontà di non arrendersi sta nella presentazione che Piermario Lucchini ha fatto del progetto, Parlare con i giovani e non dei giovani, service inventato e portato avanti con passione dal compianto Renzo De Marchi, e che in tempo di Covid, troverà una sua formula nuova e rinnovata su un’apposita piattaforma digitale. A dare l’anticipazione di questo nuovo modello è stato Lucchini che sarà affiancato nella curatela del service da Carlo Vittori e da Giorgio Giambiasi. Come per i colloqui simulati in presenza sono chiamati a parteci pare tutti i soci dei club del territorio per mettere a disposizione dei ragazzi le loro competenze di imprenditori, comunicatori, dirigenti e professionisti nei più diversi campi lavorativi. Il service siterrà – con ogni probabilità – nell’arco di tempo di una settimana, da individuare nel mese di aprile, tutto avverrà su una piattaforma informatica e attraverso un calendario che incrocerà le disponibilità dei rotariani che vorranno intervenire e mettersi a disposizione dei ragazzi. Per questo Piermario Lucchini sarà ospite, nelle prossime settimane, dei club del territorio per raccontare le rinnovate caratteristiche del service Parlare con i giovani e non dei giovani. Tutto ciò sta a pieno titolo nella volontà di non arrendersi anche nelle iniziative promosse dal Rotary Cremona Po. Un non arrendersi che si coniuga con cautela anche nel partecipato intervento di Giuseppe Rossi, direttore generale dell’ASST di Cre-mona che ha raccontato il suo essere dirigente, di come la sua esperienza di cardiologo in contesti nazionali e internazionali abbia dovuto cedere il passo a una nuova formazione di manager che gli ha imposto una nuova prospettiva d’azione che guardasse alla complessità, piuttosto che al singolo settore. Rossi ha offerto una panoramica degli aspetti
critici e delle prospettive legate alla gestone, al presente e futuro dell’ospedale cremonese. Sulla fuga di primari dall’ASST il direttore generale ha specificato:
«Nessuna fuga, ma un naturale cambio generazionale e una regola che nei sistemi anglosassoni è una regola d’oro: non si può fare carriera sempre nella stessa struttura e della città di appartenenza», ha spiegato sollevando qualche perplessità fra
i presenti e suscitando qualche appunto sulla non valorizzazione delle forze locali, così come non poche perplessità solleva l’idea di costruire un nuovo ospedale a cui il dg Rossi ha replicato: «195 milioni sono i soldi necessari a ristrutturare l’attuale ospedale – ha spiegato passando al grande capitolo del nuovo nosocomio -, l’investimento per la nuova struttura è di 250 milioni. Avendo il terreno nostro su cui edificare, la scelta non si è posta: è certo più conveniente fare una nuova struttura, lavorio in coesistenza con quella attuale. I fondi ci saranno, dalla Regione ci sono stati chiesti progetti che prevedono investimenti milionari, questo
vuol dire che il Mes arriverà». Il futuro del nuovo ospedale è importante, ma non lo è meno il presente, in un contesto di recrudescenza dei contagi: «Legando l’attuale struttura all’emergenza Covid la realtà è che con le norme di sicurezza sanitaria avremo 130 letti in meno – ha spiegato -. A fronte di ciò siamo stati nominati Ospedale Covid e non per nostra volontà, ma perché abbiamo la terapia intensiva, la sub terapia intensiva e i reparti di pneumologia e di Malattie infettive nello stesso Presidio. Ciò ci rende automaticamente ospedale Covid. A tutt’oggi i pazienti Covid ricoverati sono in tutto 19, ma sono destinati ad aumentare». E la situazione Covid ha portato liste di attesa per gli esami ambulatoriali incredibili, ma pian piano si stanno smaltendo, anche se radiologia è forse fra i reparti più critici: «solo due corridoi, sale di attesa inesistenti, per ora il reparto si ritrova a lavorare al 50 per cento -ha spiegato -. La lista d’attesa per gli esami e visite diagnostiche è un problema pre Covid. La soluzione non è aumentare le prestazioni, ma dovrebbe essere crea-re liste in base alle effettive urgenze, un po’ come accade in pronto soccorso. In questo modo si potrebbero esaurire le liste di attesa, ma soprattutto intervenire laddove il quadro clinico è più difficile. Altra cosa assolutamente da dismettere è il Cup regionale, nato per motivi politici e non per reali esigenze. Bisognerebbe avere la forza di tornare a una gestione locale».
Ma il convitato di pietra della conviviale è stato – e non poteva essere altrimenti – il Covid, il ritorno dell’epidemia, la seconda ondata che sta arrivando potente mente. Per questo a prendere la parola nella discussione sono stati anche Angelo Pan, primario di Malattie Infettive dell’Ospedale e Sophie Testa, direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio – Centro Emostasi e Trombosi. «Ci stiamo riorganizzando, oggi a dif-ferenza di marzo scorso siamo più consapevoli, ma una cura ancora non c’è e questo è il grande problema – ha spiegato Pan -. Sappiamo come usare il cortisone, come dosare l’ossigeno, l’importanza di una terapia anticoagulante, ma ciò non basta la mortalità per chi prende il virus in maniera importante resta alta. Anche l’utilizzo del plasma deve essere fatto in casi particolari, il rischio per soggetti inadatti è quello di portare il paziente alla morte. Stiamo lavorando per far fronte alla nuova ondata che arriverà, anzi fa già sentire i suoi effetti. Pen-savamo di essere di nuovo nell’occhio del ciclone fra un mese, mia moglie aveva fatto la previsione per il 15 ottobre e forse è cosi. Rispetto a quello che sta succedendo in Spagna, Francia e Inghilterra noi siamo indietro di un mese». A spiegare perché per ora i contagi siano meno importanti che altrove è un fatto: «noi abbiamo fatto un lockdown più duro ed esteso nel tempo, abbiamo aperto le scuole un mese fa, anche se le scuole non sembrano motivo di focolai estesi e di contagio – spiegano Pan e Testa -. Tutto questo ci ha messo un po’ al sicuro, ma quello che accade ora fuori dall’Italia è destinato ad accadere anche da noi. Il virus non è cambiato, è come prima. Oggi riu-sciamo a curare meglio perché interveniamo prima, i pazienti vengono al terzo o quarto giorno di febbre e non dopo 15 giorni, come quando non si sapeva con che malattia si aveva a che fare. L’introduzione dei test salivali nelle scuole e la possibilità di uno screening epidemiologico sempre più serrato sono importanti, così come seguire delle semplici regole: mascherina sempre, distanziamento sociale e lavarsi le mani spesso: questi per ora sono i nostri vaccini contro il Coronavirus».